Sempre più comuni italiani vietano le antenne 5G: il governo prepara un piano di emergenza

Mentre da una parte sempre più comuni ostacolano la creazione di antenne 5G invitando alla prudenza e chiedendo maggiori evidenze scientifiche che rassicurino circa gli effetti sulla salute dei cittadini, dall’altra c’è il governo che studia con Inwit, Tim e Vodafone un nuovo piano per la copertura di aree alternative da poter attuare qualora le amministrazioni meno collaborative non decidano di sbloccare i permessi: è ciò che emerge dalla nuova Relazione sullo stato di attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) che, pubblicata recentemente dalla Corte dei conti, ha inserito il Piano Italia 5G tra i programmi in difficoltà. Tra i motivi che pesano sul progetto però, non vi è solo la scadenza del Pnrr, ma anche gli obiettivi europei per le reti internet ultra-veloci da realizzare entro il 2025 ed il 2030 che, secondo la stessa Commissione Ue, sarebbero attualmente realizzabili con probabilità «bassa» dall’Italia.

Il Piano Italia 5G è un intervento pubblico tramite il quale il Governo intende incentivare la realizzazione delle infrastrutture di rete per lo sviluppo e la diffusione di reti mobili 5G nelle aree a fallimento di mercatosu tutto il territorio nazionale, ovvero in tutte quelle aree dove l’allocazione di servizi tramite il libero mercato non risulterebbe efficiente. Si tratta di una iniziativa in attuazione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e prevista nella Strategia italiana per la Banda Ultra Larga, la quale prevede di sviluppare una rete in banda ultra-larga sull’intero territorio nazionale per creare un’infrastruttura pubblica di telecomunicazioni coerente con gli obiettivi dell’Agenda Digitale Europea. Il Piano – come riporta il governo – ha l’obiettivo di incentivare la diffusione di reti mobili 5G in grado di assicurare un significativo salto di qualità della connettività radiomobile mediante rilegamenti in fibra ottica e ladensificazione delle infrastrutture di rete, al fine di garantire velocità di downlink e uplink più alte in aree in cui non è presente, né lo sarà nei prossimi cinque anni, alcuna rete idonea a fornire una determinata connettività in tipiche condizioni di punta del traffico. Tuttavia, negli ultimi mesi l’installazione delle antenne ha trovato ostacoli non indifferenti, tra cui l’opposizione di diverse amministrazioni comunali che hanno ritardato o negato il rilascio di permessi necessari agli operatori che dovevano effettuare l’intervento chiedendo prudenza.

Tali difficoltà sono stata inserite anche nella Relazione di maggio Relazione sullo stato di attuazione del Pnrr, pubblicata recentemente dalla Corte dei Conti. All’interno del documento, infatti, si legge che sono state coperte solo 160 aree su un totale di 1.385 (circa l’11,6%), mentre le aree coperte sarebbero corrispondenti al 7,7% sul totale, nonostante le stime siano ancora in corso. L’obiettivo della linea di intervento rimodulata in sede di revisione del Piano – spiega la Relazione – è quella di estendere la copertura 5G a 1.400 km di aree a fallimento del mercato, di cui 500 kmq già provviste di copertura. Tale decisione sarebbe emersa dopo aver constatato che «la popolazione residente è concentrata in punti specifici, spesso piccoli e vicini ad aree già servite» e ha reso necessaria «una ridefinizione del perimetro dell’intervento ad almeno 1.400 km aggiuntivi di zone abitate abilitati alla copertura 5G, non più limitato esclusivamente alle aree a fallimento di mercato». Inoltre, mentre il Dipartimento per la trasformazione digitale «ha avviato una cooperazione sinergica con le Amministrazioni meno collaborative», ma al contempo ha commissionato «la predisposizione di una relazione riepilogativa delle criticità riscontrate», anche al fine diindividuare zone alternative per attuare un eventuale piano di recupero, da «poter attuare qualora necessario».

Questo lavoro di sostituzione delle aree problematiche è ancora in corso e – secondo quanto riportato da Il Sole 24 Ore – dovrebbe rispondere ad alcuni criteri specifici. In primo luogo, si potrebbero ammettere all’intervento solo le zone che facevano parte della mappatura iniziale. Inoltre, l’area “alternativa” individuata dovrebbe comunque rientrare nella stessa zona geografica del lotto a cui appartiene il comune che ostacola gli impianti e, infine, deve esserci un accordo sia di Inwit – la società italiana che opera nel settore delle infrastrutture per le telecomunicazioni elettroniche – che di almeno uno tra i due operatori che gestiscono il servizio finale, i quali dovrebbero riscontrare “sostenibilità economica” nella nuova area individuata.

Tra i motivi che spingono alla creazione di un piano che riesca ad evitare mesi di attesa per ricorsi al TAR e permessi bloccati dai comuni però, non vi è solo la scadenza del Pnrr. L’Italia deve infatti impegnarsi per raggiungere gli obiettivi europei di connettività Gigabit Society 2025 e Digital Decade 2030, impresa tutt’altro che certa secondo lo studio della stessa Commissione Ue: secondo il documento, è «bassa» la possibilità che venga raggiunto l’obiettivo che prevede l’accesso per tutte le famiglie ad una velocità in downloading di almeno 100 megabit aggiornabili a 1 gigabit per secondo. Su tale obiettivo ci sono ben nove Paesi in posizione migliore, mentre sulle proiezioni riguardanti le sfide per il 2030, siamo in 17esima posizione. Secondo il report, a condizionare «in negativo» l’Italia c’è un mix di quattro fattori: posizione topografica non favorevole, complessità dei processi amministrativi e di coordinamento tra livelli del governo, competenze digitali e di utilizzo di internet inferiori alla media e infine – appunto – scarsa copertura di reti ultraveloci fisse.

[di Roberto Demaio]

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