persone davanti a una casa
 Contrabbandieri in Ticino verso il 1950. © RDB/Schleiniger

Frontiera è spesso anche sinonimo di contrabbando. Un fenomeno che ha profondamente marcato le regioni a cavallo tra Italia e Svizzera e di cui ripercorriamo la storia.

A questo proposito riportiamo un bel servizio di Daniele Mariani trasmesso dalla TV Svizzera, che tocca anche la nostra Valle.

Ninna nanna, dorma fiöö…

El tò pà el g’ha un sàcch in spala

E’l rampèga in sö la nòcc…

Prega la loena de mea fàll ciapà

Prega la stèla de vardà in duvè che’l va

Prega el sentée de purtàmel a ca’…*

Davide Van De Sfroos, La ninna nanna del contrabbandiere

Grazie al contrabbando si sono costruite fortune, ma si sono anche consumate tragedie. Sono state scritte canzoni, come quella del cantautore comasco Davide Van De Sfroos, il cui pseudonimo – De Sfroos – significa proprio “di frodo, di contrabbando”. È un fenomeno che per decenni ha ritmato la vita di molte persone nelle regioni a ridosso della frontiera. Ha segnato il territorio ed ha avuto un’influenza considerevole sull’economia, la società e la cultura al di qua e al di là del confine. 

Dapprima riso, poi sigarette, valuta, carne o anche esseri umani: ogni epoca ha avuto il suo ‘prodotto’ che transitava illegalmente attraverso il confine. Oggi, con l’apertura delle frontiere, il fenomeno è meno visibile. Non ci sono più gli spalloni di un tempo che con la loro bricolla in spalla di notte percorrevano impervi sentieri, cercando di sfuggire ai finanzieri. Ma non per questo il contrabbando è scomparso. Ha semplicemente assunto altre forme.

Certo, oggi non c’è più nulla di romantico in questo fenomeno. Anche se a ben vedere, con il suo tributo di morti ammazzati sia tra le guardie di confine che tra i contrabbandieri, non è che in passato il contrabbando avesse poi quel granché di romantico.

Una storia, o meglio tante storie, che abbiamo deciso di ripercorrere con la consulenza dello storico Adriano Bazzocco, che al contrabbando e alla frontiera ha dedicato numerosi studi.

Nel primo reportage vi portiamo alla scoperta di quella che in Ticino viene chiamata la “ramina”, ovvero la rete metallica installata dall’Italia tra la fine del XIX secolo e i primi decenni del XX secolo per contrastare il traffico merci illegale. Una sorta di piccolo muro di Berlino, con tutti i distingui del caso, che per anni ha tagliato in due il confine.

Vi parleremo poi di contrabbando di riso, dei profughi e delle sigarette nel Dopoguerra. Vi sarà spazio anche per le testimonianze di chi di contrabbando ha vissuto o di chi lo ha combattuto. Senza dimenticare storie tragiche, come quella della guardia Ovidio Maggi, ucciso nel 1945. Fino ad arrivare ai giorni nostri, con traffici di altro tipo e un confine che viene presidiato in un modo completamente diverso.


Qui Frontiera

Quando la “ramina” divideva Italia e Svizzera

di Guido Mariani

Oggi la frontiera italo-svizzera è diventata assai permeabile e non tutti i posti di frontiera sono presidiati. Basta però fare una camminata nei boschi a cavallo del confine per immergersi in un’altra epoca.Questo contenuto è stato pubblicato il 23 settembre 2021 – 09:0023 settembre 2021 – 09:00Guido Mariani, The Italy Diaries

I ticinesi la chiamano “ramina”, in Italia il termine non viene quasi mai utilizzato, se non da frontalieri che varcano il confine ogni giorno. È la rete metallica che divide il Canton Ticino dalla Lombardia, un potente simbolo di divisione di due terre separate da leggi e bandiere, ma con tanti elementi in comune.

Ma “separa” o “separava”? La ramina, infatti, oggi non esiste quasi più e dove esiste è più un relitto di un’epoca antica che una barriera che circoscrive una frontiera. Una sorta di reperto archeologico senza troppe valenze artistiche. La linea immaginaria che taglia in due un confine che anche la geografia vorrebbe inesistente, è diventata negli ultimi anni sempre meno rigida, consentendo una più ampia unione tra due comunità che parlano la stessa lingua.

Altri sviluppi

Le maglie metalliche tra le due nazioni, un sodalizio di Cantoni pluricentenario e una giovanissima Italia nata come paese unitario solo da pochi anni, comparvero alla fine del XIX secolo per iniziativa italiana allo scopo di contrastare il traffico illegale di merci. Fino al 1945, tra Lombardia e Ticino vennero posati circa 70 chilometri di rete, presidiati a sud della recinzione da umili garitte, posti di sorveglianza più attrezzati e caserme.

Nacque così l’era del contrabbando, un’epopea che spesso è stata letta in chiave romantica quasi come un innocuo gioco a guardie e ladri, ma che ha in realtà avuto risvolti tragici. Sicuramente era un fenomeno illegale che però scandiva la vita di genti separate dalla storia e unite dal bisogno. Per molti villaggi di montagna era infatti una scelta obbligata per sopravvivere.

Un confine definito nel 1752

Quella stagione è finita e oggi i militari presidiano solo i posti di frontiera sulle strade più trafficate. Nei boschi la natura ha ripreso il sopravvento. Camminando lungo i sentieri si possono ritrovare ancora testimonianze più antiche della separazione tra Canton Ticino e Lombardia. Sono i cippi di confine e anch’essi raccontano una storia. I più antichi appartengono al XVI secolo e delimitavano la “Liga Helvetica” e lo “Status Mediolani”, il ducato di Milano che proprio in quei decenni passava sotto l’autorità della Spagna di Carlo V.

Bisogna fare un salto nel tempo fino al 2 agosto 1752 per ritrovare il confine come lo conosciamo oggi. In quel giorno fu stipulato il Trattato di Varese che ridisegnò le competenze territoriali tra la Lombardia e le tre prefetture svizzere di Lugano, Locarno e Mendrisio. Vennero posizionati nuovi cippi, anch’essi oggi circondati da una fitta vegetazione che non conosce passaporti.

FONTE

Di VALLE INTELVI NEWS

Giornale con notizie della Valle Intelvi ma con uno sguardo attento sul mondo

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