DAVIDE ILLARIETTI

Il calo delle nascite in Ticino si aggrava ancora, dai reparti maternità arrivano dati allarmanti

Una giornata con Isabella Bettega, super-mamma 50.enne di Caneggio, aiuta a capire come mai le donne ticinesi partoriscono in media 1,3 figli a testa e il trend è in calo. Lei ne ha fatti nove – un solo maschio – e la famiglia è diventata quasi un mestiere, che inizia alle 6 di mattina e finisce alle 20 di sera. Ogni giorno un grattacapo, i conti quadrano al pelo, gli aiuti statali – cara grazia – coprono una minima parte del sacrificio economico ma soprattutto esistenziale. Una «vocazione», la definisce lei non a caso.

IL NATALE E’ DIETRO L’ANGOLO

Un nuovo calo

Ma non ci si può aspettare altrettanti «atti di fede» dalle circa 42.mila madri ticinesi, e difatti non accade. I dati che arrivano dai reparti maternità sono allarmanti: tra gennaio e luglio in Ticino sono nati 1.351 bambini, fanno sapere dall’Ustat. Il 6 per cento in meno rispetto allo stesso periodo del 2022, che si traduce in 89 culle metaforicamente vuote. Quello in corso rischia di concludersi come l’annus horribilis delle nascite, battendo il record negativo dell’anno scorso (2.435 nati in Ticino, mai così pochi dal 1985).

«I dati sono provvisori ma indicano effettivamente un ulteriore calo, salvo correzioni di rotta nei prossimi mesi» conferma Fancesco Giudici, sociologo ed esperto di ricerche demografiche presso l’Ufficio di statistica. «Le nascite sono diminuite in tutti i mesi presi in considerazione. Colpisce inoltre il fatto che la diminuzione è marcata anche a livello svizzero». Unico dato in controtendenza, le famiglie numerose con quattro o più figli. In Ticino sono 1.297 e sono rimaste grosso modo stabili negli ultimi 20 anni.

Mosche bianche

Le famiglie extra-large sono ancora più rare. In un piccolo paese come Caneggio in Valle di Muggio i Bettega hanno influito in positivo sul bilancio demografico: otto figlie femmine e un maschio tra i 7 e 22 anni, in una frazione di 300 anime per lo più anziane, si fanno notare. «La gente del posto ci chiede come facciamo» racconta Isabella divertita. «Non riescono quasi a concepirlo».

LAMPADA A PARETE A LED

In effetti i venti demografici soffiano in direzione opposta, soprattutto dalle valli. Lo spopolamento viene da lontano, le indagini statistiche risalgono fino al 1850: negli ultimi 173 anni la popolazione ticinese è più che raddoppiata (più 160 per cento, secondo l’USTAT) ma si è concentrata soprattutto attorno ai centri urbani, dimezzandosi nelle aree di montagna. Un paradosso: proprio là dove un tempo le famiglie di 9-10 figli erano più comuni, e il ricordo è ancora vivo – nella memoria e nella storia familiare di molti anziani in valle di Muggio, ad esempio – oggi le nascite sono più rare.

L’aiuto della scienza

Il dottor Marco Buttarelli ha davanti agli occhi un file excel pieno di numeri, sulla sua scrivania a Locarno. Il Centro cantonale di fertilità dell’EOC, all’ospedale La Carità, è il luogo da cui passa una parte importante della crisi della natalità in Ticino e le cifre sul computer di Buttarelli confermano che c’è un problema.Nel 2016 – in coincidenza con la riorganizzazione della struttura – i trattamenti di fertilità sono aumentati e hanno raggiungo il livello stabile di circa 500 all’anno. Potrebbero sembrare pochi: ma corrispondono, fatte le debite proporzioni, a un quinto delle nascite dell’anno scorso.

Se alle cifre di Buttarelli si aggiungono quelle dei centri di fertilità privati – alla Procrea di Lugano, ad esempio, vengono effettuati circa 1.500 trattamenti l’anno, e dal 2015 sono nati 284 bambini da coppie residenti in Ticino – il divario si riduce ulteriormente. Il rapporto tra le nascite complessive registrate annualmente, e il numero delle coppie che si rivolgono a centri di fertilità (di cui solo una piccola parte, tuttavia, arriva a un parto assistito) è quasi di 1-1.

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Madri più tardi

Dietro ai numeri ci sono storie che gli addetti ai lavori conoscono bene. E che – come quella di Bettega – aiutano a capire meglio il fenomeno. «L’età in cui si tenta di avere il primo figlio è drasticamente aumentata negli ultimi decenni» sottoline Buttarelli. Al centro della Carità arrivano «soprattutto coppie di mezza età» sui 38-40 anni. Ma ci sono anche donne che passano la 50. Nel 2022 il parto più tardivo in Ticino è stato portato a termine da una donna di 50 anni, nel 2021 il record era stato di una 53.enne.

Il «ritardo» è dovuto molto spesso a ragioni economiche, sottolinea Buttarelli. «Le coppie tendono a posticipare la ricerca di un bambino a quando avranno una sicurezza finanziaria e lavorativa, questo lo dicono tutti gli studi e anche la nostra esperienza sul campo». Gli aspiranti genitori che si rivolgono al Centro di fertilità sono quasi sempre entrambi occupati, spesso con professioni qualificate: tra le donne spiccano insegnanti e personale sanitario – medici, infermiere – ma anche le libere professioni e quelle impiegatizie sono molto rappresentate. «Purtroppo avere un figlio ha un costo, in termini economici e spesso anche di carriera» conclude Buttarelli. «Capita che quando si raggiunge la situazione ideale, sia ormai necessario l’aiuto della scienza».

Questione di costi

Anche la procreazione assistita ha un costo: 7.mila franchi per i trattamenti più complessi (non coperti dalla cassa malati). È solo l’inizio di un salasso che tra alimenti, spese di accudimento ed educazione e altri «consumi diretti» arriva a pesare in media per 819 franchi a figlio ogni mese nella famiglia svizzera-tipo, secondo uno studio dell’Ufficio federale di statistica. Il costo complessivo di un figlio unico, dalla nascita all’autonomia, è di 176 mila franchi.

Non stupisce, dunque, se nelle interviste dell’Ustat alle madri ticinesi il discorso «soldi» ricorre spesso. In una ricerca condotta nel 2018, ad esempio, «è emerso che il reddito delle donne era strettamente correlato alla probabilità di avere un figlio l’anno successivo» sottolinea Giudici. «A un reddito maggiore corrispondeva una maggiore probabilità di avere un figlio a breve». In un altro sondaggio è emerso che le preoccupazioni economiche avevano un peso, nella scelta se avere un figlio o no, per il 71 per cento delle donne senza figli. La percentuale diminuiva al 49 per cento tra le donne con già due figli a carico. Considerato che il rischio di povertà aumenta dal 14 al 20 per cento dopo il secondo figlio, è un paradosso statistico. Si potrebbe spiegare con la rinuncia ad altro – lavoro, carriere – con l’amore ma anche – sicuramente – con una certa «vocazione».

fonte

Di VALLE INTELVI NEWS

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