Bar e ristoranti in Lombardia: il conto del Covid

In Lombardia, dove è attivo il 15% dei pubblici esercizi, il bilancio più salato: il 97% ha avuto un mancato fatturato o perdite

Bar e ristoranti in Lombardia
 


L’impatto del Covid-19 è stato il più grande “fattore distruttivo” del settore della ristorazione e continuerà a segnare fortemente il comparto per gli anni a venire. Una conclusione a cui arriva il rapporto annuale della Fipe, la Federazione Italiana Pubblici Esercizi di Confcommercio, che ha calcolato un calo del mercato di quasi il 40 per cento nel 2020 rispetto all’anno precedente, con perdite che “sono ancora più evidenti se lette in termini di sacrifici personali, chiusure, perdita di posti di lavoro”. Con la certezza che “nulla sarà più come prima”. Un settore nel quale la Lombardia fa da traino da ogni punto di vista, collocandosi come il primo mercato a livello nazionale, e quindi la regione che ha registrato i numeri più alti nelle perdite e nelle cessazioni di attività. Numeri che sono stati diffusi mentre a Erba, nel comasco, si sta organizzando Ristorexpo, storica fiera di settore, che a settembre sarà probabilmente la prima a ripartire e ospitare pubblico e attività in presenza.

Nel 2020 risultavano attive in Italia 335mila imprese, quasi 50mila delle quali in Lombardia, pari al 15 per cento dell’imprenditoria di settore nazionale. Il calo complessivo dei consumi, secondo l’Istat, equivale a 124 milioni di euro, un terzo dei quali riconducibili dal settore ristorazione, con una perdita di 514mila posti di lavoro. Nel dettaglio, il comparto lombardo conta quasi 26mila dei 188mila ristoranti esistenti in Italia, 23mila dei 140mila bar, oltre 600 delle 3400 mense e attività di catering. Ma nel 2020, il saldo negativo delle attività cessate a livello regionale, parla di meno 1977 ristoranti, 1156 bar, 15 mense e ben 806 attività di “ristorazione mobile”, principalmente quei food truck la cui attività era in piena espansione. In termini occupazionali, si è passati dai 990mila addetti in Italia del 2019 ai 747mila dello scorso anno, con una perdita di 240mila posti di dipendenti, oltre agli apprendisti e ad altri inquadramenti contrattuali, che ha colpito soprattutto la fascia di età tra i 20 e 40 anni.

Oltre il 97 per cento delle imprese ha lamentato un calo o un’assenza di fatturato, e un aumento dei costi gestionali dovuti soprattutto a materiali per la sanificazione, dispositivi di protezione e adeguamento degli spazi. Ma la pandemia, con i suoi 192 giorni di imposizione di misure restrittive, ha anche fortemente mutato le abitudini dei consumatori, che si stanno trasformando in opportunità da cogliere, pur tenendo in considerazione la quantità di persone che ha deciso di contingentare le spese fuori casa: il 58 per cento con la totale rinuncia, gli altri con una maggiore attenzione al risparmio.
I nuovi trend vedono ai primi posti il consumo di prodotti salutari e l’attenzione all’ecostenibilità della filiera alimentare, così come la crescita dei “ristoranti virtuali”, in pratica laboratori di cucina destinati al solo delivery. Inoltre l’offerta on line, e la possibilità di confronto dei servizi a portata di mano degli acquirenti, ha rafforzato la competizione e sta premiando qualità, originalità e personalizzazione dei servizi. Infine si sono drasticamente rivoluzionati gli orari dei consumi fuori casa: colazione, pause e pranzi, assorbono oggi l’87% degli acquisti.

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