Il bostrico è un insetto, un parassita del legno, che a differenza di quello che si legge generalmente non fa parte della famiglia degli Scolitidi. Il suo nome in latino è Ips typographus ed è un insetto molto piccolo (dai 3 e 4 mm la sua dimensione) e molto prolifico che vive generalmente a scapito dell’abete rosso. Quando arriva in quantità enormi e trova le conifere in sofferenza riesce però a mettere in difficoltà e a far morire anche il larice e qualche volta il pino.

Fino a qualche anno fa non se ne sentiva parlare molto.

Il bostrico c’è sempre stato solo che in determinate condizioni riesce a svilupparsi e a trovare l’alimentazione necessaria per la sua diffusione. Storicamente nelle nostre Alpi avevamo attacchi isolati negli anni ‘80 -‘90 dove si verificavano schiantate da vento molto localizzate da 1.000 fino a 10.000 metri cubi. La tempesta Vaia ci ha portato in una dimensione completamente diversa dove abbiamo avuto 10 milioni di alberi schiantati.

Nulla di strano, se non per noi abitanti delle Alpi meridionali, in quanto oltralpe la situazione era ben conosciuta da oltre 30 anni a causa di tempeste di vento molto più violente.

Lì i boschi erano stati colpiti già in passato quindi. Cosa causa una diffusione così importante di questo insetto?

Si, prima ci furono le piogge acide che hanno cominciato a mettere in sofferenza le conifere e quindi a permettere la diffusione del bostrico in Baviera, Austria e nelle foreste polacche. Poi sono arrivate le tempeste, la prima importante fu Vivian nel 1990 e poi Lothar nel 1999 quella devastante che ha sconvolto l’Europa  con 240 milioni di metri cubi di schianti. Ovviamente queste tempeste sono dovute ai cambiamenti climatici e alle forze del vento che vengono alimentate dalla temperatura sopra la media degli oceani e del mar Mediterraneo. Oltre al cambiamento climatico, in Veneto, Trentino e in Lombardia, abbiamo commesso un errore strategico subito dopo Vaia.

Abbiamo lasciato per troppo tempo il legname a terra schiantato.

Questo, in parte, è ancora vivo in quanto una porzione dell’apparato radicale riesce ancora ad attingere alimento dal suolo. Il bostrico si inserisce solo nella pianta viva, non attacca il legname morto. La funzione clorofilliana procede anche oltre un anno dallo schianto e il bostrico va a inserirsi tra la corteccia e il legno nutrendosi direttamente dalla pianta che viene portata all’essicamento.

Bostrico adulto - Ips Typographus

Bostrico adulto – Ips Typographus

Larva di bostrico

Larva di bostrico

Qual è il ciclo di vita di questo insetto?

Poco tempo. Il bostrico maschio va nella corteccia dove si rinforza e, fecondata la femmina, va a morire. Viene chiamato typographus perché la femmina scava delle gallerie tra corteggia e tronco dove vi deposita le uova che si tramutano in larve. Queste si trasformano in insetti e ricominciano il loro ciclo. Un solo esemplare, ad ogni generazione, si moltiplica per 150.

Bisogna tenere presente che anche in tempi climatici normali riusciva ad avere 1-2 generazioni, quest’anno poi, grazie alle temperature molto elevate del mese di maggio e alla siccità, è riuscito ad arrivare alla terza generazione. Quindi da un solo insetto in tre generazioni ne abbiamo altri 450.

Per ciò in questo momento se noi vediamo una superficie di 1.000 piante di abete rosso colpite dal bostrico dobbiamo già avere la consapevolezza che altre 500-600 piante attorno stanno ospitando le femmine e le larve di bostrico. Non appena le piante andranno in vegetazione a maggio vedremo ampliarsi queste grandi superfici di piante secche.

Possiamo fare una previsione di quale sarà il computo finale?

La previsione storica, in base a quanto accaduto in passato in Austria, Svizzera e Baviera, indicava che davanti a 10 milioni di metri cubi di schianti l’attacco di bostrico avrebbe influito per altri 3-4 milioni di metri cubi.

Avendo lasciato il legname a terra per troppo tempo avremo come minimo altri 10 milioni di cubi di bostrico. Un danno altrettanto importante a quello di Vaia.

Una parte è quindi colpa nostra mentre una parte è dovuta ai cambiamenti climatici in quanto quest’anno è stato particolarmente siccitoso e quindi il bostrico ha trovato le condizioni ideali per svilupparsi.

Bosco attaccato dal bostrico - foto @Giacomo Delvai

Bosco attaccato dal bostrico – foto @Giacomo Delvai

Una pianta non sofferente non ha nessun modo per difendersi da questo insetto?

Una pianta sana e forte reagisce con le resine impedendo all’insetto di aggredirla. Se la pianta è già in sofferenza per siccità o per l’aridità del terreno o perché noi umani abbiamo sbagliato la martellata e abbiamo esposto delle piante all’attacco del sole ecc. allora il bostrico riesce ad avere il sopravvento sulla pianta. Se viene attaccata da un numero esiguo di individui reagisce, se viene attaccata da una moltitudine soccombe. In situazioni normali il bostrico è quel parassita che mantiene in salute le foreste di abete rosso, elimina gli alberi in sofferenza e contribuisce a cambiare la struttura boschiva.

Dal punto di vista della natura non c’è nulla di strano, quello che stiamo assistendo è un fenomeno naturale di adattamento ai cambiamenti climatici in atto. Siamo noi umani che subiamo la cosa dal punto di vista paesaggistico, economico e idrogeologico.

Quindi il problema riguarda noi umani, non la natura. Tra 100 anni la natura avrà completamente cambiato la nostra struttura forestale anche qui nelle Alpi.

Noi umani siamo così egocentrici che siamo convinti che con il nostro intervento riusciamo a mitigare i cambiamenti naturali, il bostrico ci smentisce.

Abbiamo fatto degli errori in passato?

Nel dopoguerra i nostri nonni e nonne hanno dovuto ricostruire le suture boschive delle Dolomiti perché, per ragioni di guerra, i boschi erano stati tagliati per far trincee, strade o per questioni strategiche. Finito il conflitto bisognava ricostruire condizioni di semi naturalità e siamo partiti con milioni e milioni di piantine

Abbiamo però costruito dei boschi coetanei e monospecifici di abete rosso perché allora la selvicoltura austriaca ci diceva che quella era la pianta delle Alpi. Ci siamo dimenticati di inserire il faggio, l’acero, il larice senza dare importanza a queste altre specie. Ora è arrivato il bostrico e ha banchettato su boschi di un’età che varia dai 100 ai 110 anni!

Perché non si interviene capillarmente e si lasciano su intere superfici intaccate?

Il primo motivo è perché non c’è manodopera boschiva a sufficienza essendo un lavoro difficile e che richiede tempo per essere appreso. Inoltre se io entro in una superficie boscata intatta dove ci sono ad esempio 1.000 metri cubi di bostrico e lo tolgo, 20 giorni dopo probabilmente ne avrei altri 500 perché ho esposto le piante di margine al sole e alle intemperie che finirebbero per scottarsi e indebolirsi venendo poi aggredite dal parassita.

In molti casi è meglio stare fermi e far fare alla natura

Oltre a questi fattori c’è da considerare che più lasciamo superfici aperte più si creano rischi idrogeologici. L’apparato radicale di una pianta, anche se morta, riesce a trattenere il terreno per diversi anni. Si parla dai 15 ai 20 anni di capacità di trattenimento della fertilità del suolo e dell’evitare frane.

Quindi il rimedio, se così si può definire, è quello di lasciar fare il suo corso alla natura?

In Svizzera e in Francia delle università hanno fatto delle sperimentazioni in questo senso. Laddove ci sono state delle schiantate su superfici con la stessa esposizione e la stessa pendenza hanno adottato tre strategie diverse.

Su di una parte hanno lasciato il bosco schiantato a terra, su di una seconda porzione hanno tolto tutto il legname e hanno fatto la piantumazione e su di un’ultima parte hanno tolto tutto il legname senza piantumare artificialmente.

Dopo tre decenni gli studiosi hanno notato che laddove non è stata fatto nessun prelievo c’era maggior diversificazione di piante ed erano più alte di quelle piantumate. Bisogna poi tenere conto che nella piantumazione artificiale il 50% delle piante muore.

Solitamente queste epidemie hanno un percorso prevedibile per quanto riguarda la durata?

Prendiamo quanto accaduto negli anni ‘90 in Svizzera e in Baviera. A due anni dall’evento meteorologico arriva l’attacco pesante del bostrico. Il terzo e quarto anno sono gli anni più “forti” ma nel frattempo si sviluppano gli insetti antagonisti che si nutrono specialmente delle larve. Quindi piano piano la crescita viene limitata riducendo la natalità. Oltre a questo, grazie alla loro comunicazione, le piante iniziano a produrre delle sostanze un po’ più acide che repellono il bostrico. Però ci vuole un ciclo naturale che va dai 3 ai 5 anni perché questo percorso si sviluppi.

Poi dipende molto dalle condizioni climatiche. Se l’inverno è lungo con un maggio freddo già si perde una generazione, se durante il mese di giugno, mentre c’è la prima espansione del bostrico, arrivano tre giornate fredde si rallenta il processo.

Questo è il terzo anno dalla tempesta Vaia, sicuramente il 2023 sarà l’anno apicale e poi, in teoria, con il 2024 dovremmo avere la curva discendente.
Luigi Casanova (1955), bellunese, di professione Custode forestale nelle Valli di Fiemme e Fassa e ora in pensione, è una voce storica dell’ambientalismo. Il suo impegno sociale è nato nell’antimilitarismo e nel Movimento Nonviolento. È stato presidente di Mountain Wilderness Italia e oggi ne è presidente onorario. Per quasi due decenni, fino a maggio 2020, è stato vicepresidente di CIPRA (Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi), ancora oggi è membro del Consiglio direttivo di Italia Nostra del Trentino e rappresenta le associazioni ambientaliste nella Cabina di regia delle aree protette e dei ghiacciai del Trentino. Da giornalista fa parte della redazione del mensile Questo Trentino.

Di VALLE INTELVI NEWS

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