
Maurizio Arseni
Quello che sta accadendo è osservato con crescente preoccupazione dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Da Ginevra arrivano accuse pesanti: si parla di “delusione”, “mancato rispetto degli impegni internazionali” e del pericolo che un Paese firmatario della Convenzione quadro dell’OMS per il controllo del tabaccoCollegamento esterno apra la strada alla legittimazione globale dell’industria.
Per decenni, la filiera del tabacco è stata un pilastro dell’agricoltura nazionale. In regioni come Campania, Puglia e Umbria, migliaia di famiglie vivevano di questa coltura, sostenuta anche dai fondi europei. Ma le politiche antifumo, la liberalizzazione del mercato e i tagli agli aiuti comunitari hanno innescato un declino che sembrava irreversibile. Tra il 2004 e il 2014, la superficie coltivata si è più che dimezzata ed il settore era quasi sparito dai radar della politica.
Investimenti miliardari
La svolta arriva nel 2014, quando l’azienda con sede a Losanna inaugura a Crespellano, alle porte di Bologna, il suo primo stabilimento al mondo per la produzione su larga scala di dispositivi a tabacco riscaldato. Un investimento iniziale da oltre un miliardo di euro, che in meno di dieci anni supera i tre.
Con 3’000 dipendenti, quello emiliano è il cuore della rete globale della cosiddetta strategia “senza fumo” del gruppo e un hub logistico per decine di mercati
Nel frattempo, a Taranto e nel Casertano, la multinazionale ha aperto call center per l’assistenza alla clientela dei nuovi dispositivi, presentati dall’azienda — senza riscontri scientifici indipendenti — come alternativa meno nociva alle sigarette per fumatori incalliti e anziani. In realtà, in Italia questi prodotti spopolano soprattutto tra i giovani, paese in cui già fuma il 22% degli under 17 e oltre il 44% di tutti i fumatori ha iniziato prima dei 18 anni.
Nuovi prodotti, ma del tabacco non si può fare a meno
In Umbria, invece, è stato da poco inaugurato il primo centro di stoccaggio del tabacco destinato ai principali siti produttivi europei. Perché questi nuovi prodotti contengono comunque nicotina e quindi per produrli servono ancora grandi quantità di tabacco.
“L’industria non può prescindere dal tabacco”, spiega il professor Silvano Gallus, epidemiologo dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano. “È un know-how che solo loro possiedono e per sopravvivere devono continuare a usarlo”
A differenza delle sigarette elettroniche, prodotte principalmente in Cina e il cui liquido può essere realizzato anche da piccoli laboratori, i dispositivi a tabacco riscaldato impongono alle multinazionali il controllo diretto della materia prima. Da qui, l’investimento massiccio nella filiera agricola italiana.
Dal 2011, l’azienda elvetica e l’organizzazione agricola più influente d’Italia hanno siglato un accordo di filiera, rinnovato fino all’ultima intesa del 2023, che coinvolge circa 1’000 agricoltori in Campania, Umbria e Veneto con l’obiettivo di garantire una fornitura stabile, tracciabile e conforme agli standard della multinazionale.
A consolidare l’alleanza, un protocollo Collegamento esternocon il Ministero dell’Agricoltura. “Si tratta di un’intesa che abbiamo sottoscritto qualche mese fa in cui PMI si impegna a comprare più o meno il 50 % del tabacco prodotto in Italia dai nostri agricoltori per i prossimi 10 anni”, spiega a tvsvizzera.it il sottosegretario al Ministero dell’agricoltura, della sovranità alimentare e delle foreste (MASAF) Patrizio Giacomo La Pietra precisando che “all’ interno ci sono una serie di linee guida per ottimizzare al meglio la produzione agricola italiana, come l’uso della tecnologia nei campi per una coltivazione tabacchicola meno impattante per l’ambiente ma anche programmi di formazione per giovani agricoltori”.
Ma Philip Morris non è l’unica ad aver puntato sull’Italia. Anche British American Tobacco (BAT)che due anni fa ha siglato un’altro protocollo d’intesaCollegamento esterno con il Ministero dell’agricoltura, ha investito nel Paese, inaugurando alla presenza del ministro delle imprese e del Made in Italy (MIMIT) Adolfo Urso un centro per l’innovazioneCollegamento esterno a Trieste sempre per produrre prodotti a tabacco riscaldato.
La “delusione” dell’OMS
Pur monitorando da anni l’influenza dell’industria del tabacco sulle politiche pubbliche a livello globale, interpellato da tvsvizzera.it sul caso italiano, il Segretariato della Convenzione quadro dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) per il controllo del tabacco ha inizialmente dichiarato di non essere a conoscenza dell’intesa siglata tra il Ministero dell’agricoltura e Philip Morris.
Ha poi chiesto un giorno per effettuare verifiche interne per poi inviare nota ufficiale via email in cui si dice “estremamente deluso nell’apprendere che uno Stato parte abbia facilitato un accordo a lungo termine con l’industria del tabacco.”
E ricorda che “l’articolo 5.3 e le sue linee guida vincolano l’intero governo del Paese firmatario a restare vigile di fronte ai tentativi dell’industria di minare gli sforzi di controllo del tabacco”.
Per l’OMS, l’accordo rappresenta dunque una violazione della Convenzione quadro per il controllo del tabacco, adottata nel 2003 e ratificata dal parlamento italiano nel 2008. Il trattato vieta infatti ogni forma di collaborazione tra governi e industria, salvo interazioni strettamente necessarie e regolamentate.
L’articolo 5.3 va anche oltre indicando che gli Stati sono tenuti a “proteggere le politiche sanitarie dall’influenza dell’industria del tabacco”.
Un interlocutore di primo piano
Eppure, in Italia, ormai l’industria del tabacco è un interlocutore istituzionale: partecipa a tavoli interministeriali, firma intese pubbliche, organizza competizioni per start-up insieme alle regioni. “La Convenzione è inequivocabile: vieta ogni partnership con l’industria”, spiega Gallus. “In Italia, l’industria del tabacco firma accordi con ministeri, l’arma dei carabinieriCollegamento esterno, associazioni agricole. È una contraddizione evidente”.
Una contraddizione che investe anche le scelte di politica agricola. L’articolo 17 della Convenzione invita infatti invita gli Stati a “promuovere alternative economicamente valide” alla coltivazione del tabacco.
Per il sottosegretario La Pietra, che considera il tabacco “un prodotto ambito dall’industria perché una delle tante eccellenze dell’agricoltura della penisola”, l’Italia, non può permettersi la desertificazione agricola di territori storicamente vocati alla tabacchicoltura” aggiungendo che “saranno il mercato e i cambiamenti climatici a determinare in futuro le eventuali alternative”.
Per ora, spiega il sottosegretario, l’obiettivo del protocollo non è quello di incrementare, ma di arrestare il calo della produzione. L’Italia, però, anche grazie ai nuovi accordi, continua a mantenere il primato europeo nella produzione di tabacco grezzo, seguita da Polonia, Grecia e Spagna, tutti paesi che negli ultimi anni hanno registrato un netto calo.
Lobby, visibilità e accesso: la strategia istituzionale
La presenza dell’industria del tabacco nel dibattito pubblico italiano non si limita alla produzione o alla filiera agricola. L’azienda ha costruito una strategia istituzionale sofisticata, volta a farsi percepire non come una multinazionale del tabacco, ma come un attore dell’innovazione, della sostenibilità e della transizione industriale.
>>> La Svizzera è uno dei Paesi in cui la lobby del tabacco è più influente
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