
Tra retorica e abbandono, servono visione, investimenti e rispetto per le aree interne. Come la Valle Intelvi, ci sono migliaia di comunità italiane che non meritano di essere lasciate indietro.
Ci sono territori nel nostro Paese che rischiano di essere cancellati non da una catastrofe naturale, ma da una scelta politica: quella dell’abbandono. Sono le cosiddette “aree interne” – che poi tanto “vuote” non sono. Solo in Italia se ne contano circa 4.000, perlopiù montane e collinari, dove vivono ancora circa 13 milioni di persone. Molti sono anziani, sì, ma non solo. C’è ancora chi lavora, chi studia, chi resiste. Chi costruisce futuro.
Anche la Valle Intelvi, con i suoi 15 paesi, ne fa parte. Un territorio che ha mantenuto viva una propria identità, tra tradizione e innovazione, natura e cultura. Eppure, anche qui, come altrove, si sente una crescente disattenzione da parte delle istituzioni centrali. Come se fosse normale – o addirittura conveniente – lasciare andare questi territori “di montagna” come una zavorra di cui liberarsi.
Ma non lo è. E non deve esserlo.
Negli anni, chi ha vissuto davvero queste realtà sa bene che non sono paesi morti, sono paesi in attesa. In attesa di uno sguardo diverso, di una politica che non si limiti a proclami e slogan turistici, ma che sappia investire davvero.
Perché i nostri paesi non devono essere svenduti all’anziano ceto medio europeo. Né devono vivere solo per qualche week-end estivo. Sono comunità vere, fatte di persone reali, con bisogni e potenzialità. E con una ricchezza umana poco visibile ma preziosa: le donne dell’Est che fanno da welfare familiare, i ragazzi che ogni giorno prendono il pullman per andare a scuola, gli immigrati che lavorano nei campi, nei cantieri, nella ristorazione. Queste sono le forze vive dei nostri territori.
Purtroppo, oggi sembra che i nuovi piani siano altri: non investire più, rinunciare, smarrire. E invece servono visione, coraggio, politiche serie. Come quelle immaginate nel Piano per le Aree Interne lanciato anni fa da Fabrizio Barca (Ministro per la Coesione Territoriale), che aveva provato a mettere al centro proprio questi luoghi dimenticati, puntando su servizi, innovazione, filiere locali.
Serve insistere, non arrendersi. Serve, se vogliamo usare una parola nuova, “obsistenza”: non solo resistenza passiva, ma ostinata volontà di esistere e rigenerarsi.
Perché se lasciamo morire i nostri paesi, non perdiamo solo un luogo sulla mappa. Perdiamo un pezzo di noi. E con esso, una parte fondamentale delle nostro passato, fatta di storie minute, fili da intrecciare e da non spezzare.
Manuela Valletti
BIBLIOGRAFIA: Piano strategico nazionale per le AREE INTERNE (PSNAI) del marzo 2025 firmato dal ministro per le Politiche di Coesione Tommaso Foti
Nel documento, all’obiettivo 4 – pag.45, è contenuta la dicitura secondo cui alcune aree interne risultano “irreveresibilmente spopolate ” e pertanto sarà gestito un peercorso di accompagnamento alla dismissione.
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