C’era una volta, in Valle Intelvi, un angolo nascosto del mondo in cui gli animali non solo vivevano… ma parlavano tra loro, di notte, quando gli uomini dormivano e la luna accarezzava i monti.

Tutti sapevano che il cuore della Valle era vivo: batteva nel fruscio delle foglie, nel richiamo degli uccelli, nel galoppo dei cervi e nei miagolii dei gatti sui muretti di pietra.

I più numerosi erano i cervi, eleganti e silenziosi, che con passo maestoso attraversavano i sentieri tra i castagni e quando giungeva l’autunno andavano in amore …allora i maschi si sfidavano al suono del loro bramito per conquistare la loro compagna. I cinghiali, più goffi ma simpatici, scavavano nel sottobosco cercando radici e ghiande: “Lasciamo il bosco come l’abbiamo trovato!” diceva il vecchio cinghiale Bruno, ma ogni sera ai suoi nipoti si spingevano nei prati vicino all’abitato e facevano disastri.

In alto, sopra le cime, era tornato il Gipeto, un avvoltoio immenso e antico, che tutti chiamavano “il guardiano dei monti”. Il suo arrivo aveva preoccupato molto gli animali. Quando si alzava in volo, gli uccelli si zittivano in segno di rispetto e a valle gli altri animali si nascondevano perché dicevano:”Dall’alto lui vede tutto e potrebbe prenderci”.

Vicino ai prati, pascolavano meravigliosi cavalli, asinelli, mucche e caprette. Tra loro c’erano anche dei lama dalla buffa espressione saccente, loro arrivavano da lontano ma ormai erano stati adottati dalla Valle e si mischiavano volentieri con gli altri animali.

Chi aveva pecore, capre e mucche saliva al mattino presto agli alpeggi con l’aiuto dei cani da pastore che controllavano il gruppo perché nessun animale si perdesse. Subito dopo il lavoro però anche i cani scorrazzavano liberi per i boschi e scendevano in paese per vedere se era arrivato qualche amico forestiero e per farsi regalare qualche biscottino. Ognuno di loro però sapeva ritrovare senza difficoltà la strada di casa.

I gatti, invece, erano i veri padroni dei paesi. Erano ospiti privilegiati, dormivano sui davanzali, si nascondevano nei fienili, e sbucavano all’improvviso tra i gerani. Erano così amati che ogni casa ne ospitava almeno uno. “Il mio umano oggi è stanco,” diceva la gatta Minù, “meglio fargli le fusa doppie!”

E poi c’erano gli uccelli: piccoli come scriccioli o grandi come poiane, colorati come dipinti o grigi come vecchi saggi. Al tramonto, le cornacchie si alzavano in volo tra le folate di vento, si lasciavano trasportare con ali spiegate planando sopra i tetti, ridendo della giornata che finiva, poi raggiungevano il Monte Generoso per trascorrervi la notte.

Ogni animale aveva un compito che gli aveva assegnato madre natura, chi custodiva un segreto, chi una storia. Nessuno era inutile. Erano tutti insieme “la fauna di una valle” che nel tempo aveva saputo rispettare il suolo, gli alberi e le acque e che per questo ora si era ripopolata.

La Valle li aveva richiamati, piano piano, col profumo dei fiori, l’acqua fresca dei ruscelli, il silenzio buono delle notti stellate. E loro, in cambio, avevano portato la vita, la grazia, e il battito lento della natura che non si dimentica mai dell’uomo, anche quando l’uomo sembra dimenticarla.

testo Manuela Valletti

illustrazioni Lumen

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Di VALLE INTELVI NEWS

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