C’era una volta, in cima a una collina affacciata sul lago, una villa che dormiva da molti anni. Il suo nome era Villa Violet, ma nessuno osava più pronunciarlo a voce alta. I rovi ne coprivano le scale, il viale d’ingresso era un labirinto di erbacce, e le finestre, un tempo ornate di tende di seta, ora erano occhi ciechi affacciati sul nulla.
Ma ogni tanto, nelle notti di nebbia, qualcuno diceva di sentire… musica.
Era una nebbia densa, quasi argentea, quella che salì dal lago in una sera d’estate. I gatti del paese si nascosero, i cani smisero di abbaiare. E proprio allora, alle undici e undici, i battenti del cancello cigolarono. Si aprirono da soli, lentamente, come se un vento antico fosse tornato a bussare.
Dal fondo della valle salì una melodia lieve: un valzer viennese.
Villa Violet si stiracchiò, come una vecchia signora addormentata da troppo tempo. Una luce tenue cominciò a filtrare dalle finestre del salone principale. I vetri, incredibilmente, si ricomposero. I lampadari tornarono a brillare, e il parquet — finora coperto da polvere e silenzio — si fece lucido e dorato.
Uno dopo l’altro, iniziarono ad arrivare gli ospiti.
Erano uomini e donne in abiti da gala, con i volti gentili e gli occhi sognanti. Le dame portavano ventagli di piume e i cavalieri frac neri e cravatte di raso. I loro piedi non toccavano terra, ma scivolavano sul pavimento come foglie portate dal vento.
Tra loro c’era anche una figura eterea, vestita di lilla pallido. Aveva i capelli raccolti e portava un medaglione d’argento al collo. Si chiamava Violet Yves, e il suo sguardo cercava qualcosa. O forse qualcuno.
Seduto in fondo alla sala, con in mano un taccuino, c’era un poeta: Antonio, il suo Antonio. Le loro mani si sfiorarono. Nessuna parola, solo un sorriso. E poi, danzarono.
La villa si riempì di risa, brindisi, profumo di gardenie. Persino i quadri alle pareti si ravvivarono, e per una notte sola, il tempo si arrese.
Alle prime luci dell’alba, la musica si fece più lieve. Uno a uno, gli ospiti tornarono nella nebbia da cui erano venuti. Le finestre si spensero. Il viale si richiuse. La villa tornò al suo silenzio, come se nulla fosse accaduto.
Ma chi quella notte passeggiava nei pressi giura di aver visto le luci. Giura di aver sentito i passi. E ancora oggi, se ci si avvicina in punta di piedi, si può leggere, tra le lettere sbiadite sull’insegna:
“Villa Violet”
E se si ascolta con il cuore, a volte, si sente ancora un valzer.
Testo Manuela Valletti
Illustrazioni Lumen