
Filippo Sardella
Presidente at Istituto Analisi Relazioni Internazionali – Analista geopolitico
In un’epoca in cui il terreno è troppo rischioso, troppo politicizzato o troppo denso di incognito, il cielo diventa il nuovo campo d’azione preferenziale . Ma non si tratta di un campo da conquistare: si tratta di un palcoscenico .
L’attacco con droni kamikaze , missili cruise , o munizioni aeree a lungo raggio non rappresenta un’invasione in senso classico. Non c’è sbarco, non c’è occupazione, non c’è trincea. È una proiezione unidirezionale della forza , un colpo che parte, colpisce, e – soprattutto – non resta . È guerra senza permanenza . Questo ha implicazioni fondamentali.
Nessun rischio di cattura o perdita di personale (no POW)
Nel paradigma della guerra convenzionale, ogni operazione terrestre implica l’invio di truppe. Questo significa dover calcolare il rischio di:perdite umane;soldati catturati ( prigionieri di guerra );implicazioni etiche e mediatiche sulla sorte dei militari dispersi.
La guerra a distanza – “dal cielo” – rimuove il fattore umano diretto , rendendo l’operazione più tollerabile sul piano interno e più gestibile su quello diplomatico. Non ci sono cadaveri da rimpatriare. Non ci sono corpi da spiegare
Contenimento dei danni collaterali (almeno in teoria)
L’uso di tecnologie aeronautiche di precisione consente, sulla carta, di minimizzare le perdite civili. Missili guidati, droni con feed visivi in tempo reale, IA applicata all’identificazione del bersaglio: tutti questi strumenti permettono di sostenere che si è in grado di colpire solo ciò che serve, evitando il resto. Questo però ha un duplice valore simbolico:
- comunica all’esterno che si è “etici” anche nella forza;
- lascia aperta la porta al negoziato, perché non si colpisce tutto, ma solo ciò che serve a inviare un messaggio.
Funzione declaratoria, non trasformativa
Il vero scopo della guerra “apó tou ouranoû” non è cambiare la mappa. Non è conquistare il terreno. È dichiarare qualcosa. Ogni lancio di droni o missili è una frase strategica pronunciata nell’aria, un atto linguistico più che militare:
- “Sappiamo dove siete”;
- “Possiamo colpirvi quando vogliamo”;
- “Non ci interessa invadere, ci interessa condizionare”.
In questo schema, il cielo diventa teatro scenico – un luogo visibile, altamente simbolico, in cui la guerra si mette in mostra più che si compie. Ogni esplosione è una coreografia pensata anche per gli spettatori internazionali.
La teatralità armata della vertical warfare
L’attacco dal cielo – disgiunto da ogni forma di penetrazione terrestre – è una forma di potere performativo, non trasformativo. Non cambia la realtà, la sospende. Nel momento in cui colpisce, l’attacco aereo:
- non vincola chi lo esegue a una nuova fase di guerra;
- non blocca possibilità di rientrare nel quadro diplomatico;
- non costringe a difendere o amministrare un territorio conquistato.
È la forma pura del conflitto postmoderno: un colpo senza corpo. Una guerra che lascia le mani libere, ma mostra comunque i muscoli.
Méchri tou oríou – Rimanere sotto soglia
Definizione
“Méchri tou oríou” (μέχρι του ορίου) significa fino al limite. Nel contesto della guerra contemporanea, indica una strategia deliberata di contenimento operativo, in cui si esercita pressione militare senza oltrepassare la soglia che implicherebbe una risposta simmetrica o l’avvio di un conflitto aperto.
Obiettivo Strategico
Raggiungere effetti politici e deterrenti senza superare le red lines, mantenendo il conflitto a un livello gestibile e reversibile.
Non è importante colpire forte, ma colpire entro i margini della tollerabilità strategica.
Caratteristiche Operative
Funzioni Strategiche
Caso Studio: Israele–Iran, giugno 2025
Fatti: Israele colpisce infrastrutture e leader iraniani con droni e missili di precisione. Risposta iraniana: oltre 100 droni, nessun missile balistico, nessun attacco contro asset statunitensi. Esito: entrambi gli attori restano sotto soglia, evitando escalation totale.
Mantenere il conflitto sotto soglia permette agli attori di restare attivi sul piano militare senza compromettere la possibilità di una soluzione diplomatica. È una strategia di pressione calibrata, che privilegia la gestione dell’equilibrio, non la vittoria definitiva. In un mondo multipolare, la guerra totale è sempre più evitata, e sostituita da azioni episodiche, aeree, misurate, che devono colpire senza far precipitare.
Psycho-logiké epivolí – L’imposizione psicologica
Definizione
“Psycho-logiké epivolí” (ψυχο-λογικὴ ἐπιβολή) può essere tradotto come imposizione mentale/razionale sul nemico. Nella guerra moderna, questa espressione descrive un uso calcolato della violenza per influenzare la percezione, le emozioni e il processo decisionale del nemico, senza puntare a una conquista materiale.
Obiettivo Strategico
Sfruttare l’effetto psicologico della minaccia militare per:
- condizionare l’ambiente decisionale avversario;
- creare instabilità senza escalation;
- imporre una logica strategica, non una vittoria militare diretta.
Non si colpisce per distruggere, ma per far pensare al nemico che potrebbe accadere di peggio.
Caratteristiche del metodo psicologico
Funzioni operative della “epivolí psicologica”
Destabilizzare la catena di comando
- Colpendo o minacciando i livelli intermedi del comando militare e politico, si produce incertezza, delegittimazione interna e mancanza di coordinamento verticale.
Generare insicurezza tra la popolazione
- Anche un attacco inefficace può scatenare terrore. L’effetto mediatico e sociale supera quello militare. Il conflitto entra nelle menti più che nelle città.
Testare la difesa aerea del nemico
- Ogni ondata di droni è anche un “sondaggio” difensivo. Si osservano le reazioni, i tempi di risposta, le contromisure elettroniche. Ma chi attacca resta invisibile, protetto da distanza o ambiguità di provenienza.
Confronto con la guerra tradizionale
Caso studio: Operazione iraniana post-13 giugno 2025
- Droni lanciati su Israele dopo l’attacco a Isfahan.
- Nessun bersaglio strategico colpito, ma effetto forte sull’opinione pubblica e sul governo israeliano.
- Obiettivo reale: creare il panico e misurare la prontezza della difesa aerea israeliana (Iron Dome e David’s Sling).
- Risultato: Israele resta militarmente intatto, ma entra in una nuova fase di vulnerabilità percepita.
Parole chiave da fissare
To phántasma tis anáthesis – Il fantasma dell’escalation
Definizione
“To phántasma tis anáthesis” (τὸ φάντασμα τῆς ἀνάθεσης) si traduce come “il fantasma dell’escalation”. Indica una dinamica bellica in cui l’apparenza di intensificazione del conflitto non corrisponde a un reale cambiamento di fase, né sul piano strategico né su quello territoriale.
È una escalation simulata, spettacolare ma priva di trasformazione concreta: una minaccia amplificata, non attuata.
Caratteristiche
Dinamiche operative
Forza rappresentata ma non esaurita
Le potenze coinvolte esibiscono capacità militari, ma senza attivare tutto il proprio potenziale. Non invadono, non occupano. Simulano escalation, ma restano nella zona grigia tra deterrenza e conflitto aperto.
Kairós e tempo strategico
Ogni picco di violenza serve a guadagnare tempo, evitare scelte irreversibili, spingere l’avversario a ricalcolare. È una strategia di attesa attiva, in cui il conflitto è visibile ma non avanza. Narrativa aggressiva, status quo conservatoDroni e missili creano una rappresentazione della forza, ma non modificano la geografia del conflitto. Il fronte non cambia. Lo scontro resta ciclico, simbolico, sospeso.
Funzioni della falsa escalation
Caso studio: Iran-Israele, giugno 2025
- Israele colpisce Isfahan con droni e missili.
- L’Iran lancia un’ondata di oltre 100 droni.
- Nessuna invasione. Nessuna occupazione. Nessuna escalation diretta su asset USA.
Risultato: la crisi sembra salire di livello, ma non si muove di un passo. Il conflitto resta in aria, non scende sul terreno.
Concetti chiave
In un’era di conflitti ibridi, il drone è il mezzo perfetto della guerra post-moderna: colpisce, comunica, dimostra… ma non cambia le regole del gioco. È l’arma ideale per chi vuole fare guerra senza dichiararla, mostrare forza senza pagare il prezzo. Ecco perché, paradossalmente, più droni volano nei cieli del Medio Oriente, meno la guerra si espande davvero. Una guerra di anapoliké, cioè di contenimento simulato. Un conflitto che prende il volo, ma non si trasforma in tempesta.
Ringraziamo Filippo Sardella,che ci ha concesso di pubblicare il suo articolo
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